Ugo Manzoni
“Il vecchio Hotel du Lac”  (Compagnia della Rocca Edizioni, Oleggio Castello, 2016)
 
Milano, 16 giugno 2017
Carissimo Manzoni, 
grazie del suo romanzo “Il vecchio Hotel du Lac” che leggo con grande interesse. Credo che si tratti di una delle sue opere più significative: oso dire, ma forse mi sbaglio, anche dal punto di vista velatamente, e soprattutto ironicamente, autobiografico. Ne fa fede quella appendice dal titolo “Autour de Hotel du Lac”:… “In fin dei conti quella sua abitudine alle ‘fiabe’, alle ‘storie’ se l’è portata dietro dall’infanzia. E questa ultima fatica l’aveva pensata in modo eclatante, come per tanti progetti umani, sul nascere, tante illusioni!... Ma quanti sogni da quel primo incontro con la carta! La stilografica chiusa. La prima pagina del quaderno aperta. La stilografica aperta, impugnata e poi la meravigliosa condanna a vita… e sennò che significato avrebbe la vita, che ‘senso’?”. 
 
Questa pacata confessione, vedo, e la trovo assai originale seppure problematica,  si articola nella conversazione con un coautore, un alter ego – una maschera? – che gioca (il ’gioco’ è un punto fermo di questa storia e della sua concezione autorale e umana) il ruolo di protagonista, direi all’antica di ‘Coro narrante’. Si tratta di Gregorio, anziano maestro in pensione, insistentemente filosofeggiante, almeno con se stesso.
 
Dove vive e come vive il vecchio maestro? Il luogo è chiaramente accertabile, vale a dire l’affascinante regione lacustre (da Arona a Verbania, o giù di lì) sul Lago Maggiore. L’Hotel du Lac, dallo stile pseudoliberty  dei primi del Novecento, è il centro di una vita locale e turistica che definisce situazioni, e modi, e personaggi che infine accentuano i caratteri e le abitudini estremamente provinciali dei luoghi e dei loro destini. Attenzioni scorrette, indichiarabili e curiose, pettegolezzi, amori, amorazzi e – seppure senza estrema malizia ma con buon senso quando occorra – motivi di vita collettiva priva di eccessi, e quasi destinata a una ‘lodevole’ (?) vitalità. Sebbene non manchino qualche tragedia, e sequenze di lutti (più o meno naturali e giustificati). Si potrebbe ripetere quanto affermato dall’autore: senza tutto questo coacervo, sovente tragico, sovente ridicolo, di eventi che senso avrebbe la vita?
 
Leggendo di questa comunità (una decina almeno di coprotagonisti) così, infine, colorata e vivace, anche quando sia appunto poco… divertente per i protagonisti, mi sovviene – ma senza intenzione di cogliere manierismi o banali somiglianze – l’universo di Piero Chiara. I luoghi più o meno sono gli stessi, gli stessi i frequentatori di Hotel turistici, di bar, di accolite di biscazzieri, di amicizie in qualche modo equivoche e, ripeto, consolidate dal… pettegolume… Dal ‘gossip’ si direbbe oggi.
 
Ma c’è un problema di scrittura, caro amico, che è fondamentale per il gusto del lettore attento. Piero Chiara si affida, certo magistralmente, ad un realismo assai scorrevole, assai… cinematografico (penso a “Venga a prendere un caffè da noi”, per esempio). Lei di contro, pur dipingendo un paesaggio simile, si sofferma surrealisticamente e con acribia su particolari divertenti, o malinconici (cognizione delle cose, dell’oggetto e dei suoi spazi e delle sue antiche e presenti storie, delle sognanti relazioni con i fatti e i protagonisti). Cito un solo passo significativo:
 
“… Il vecchio maestro Gregorio aveva appena terminato di disporre in ordine la sua parate di marionette e con queste un libro: ‘Il mito di Sisifo’ di Camus, con una foto dello stesso scrittore che lo riprende, in tono pensoso, davanti a una pagina di un giornale dal titolo ‘En Avant’. Aveva fatto una pausa e sospirato, profondamente. Poi si era portato la mano destra, aperta, verso la fronte e aveva appoggiato il medio e il pollice tra le ossa parietali e il frontale, esercitando una leggera pressione sulla cute che gli permetteva di percepire il pulsare delle arterie. Era rimasto così a lungo, chiudendo anche le palpebre per assaporare il distacco. Poi aveva sistemato anche, sempre nello stesso ordine i suoi libricini…”.
 
Si inseriscono… malamente nella storia un cognato napoletano del maestro e alcuni piccoli, modesti e anche simpatici camorristi che da Napoli (dove Gregorio farà un viaggio ‘epico’) trascinano gli innocenti (?) locali ‘per bene’ (?) alle scommesse clandestine, al gioco del Lotto e alle crudelissime, ma pare divertenti, battaglie di cani… E non mancano i festini degli zingari immigrati. Lo stesso maestro Gregorio talvolta aiuta il cognato, preso dalle scommesse e dai rischi di certe amicizie poco raccomandabili; e non trascura del tutto i ragazzi squattrinati e minacciati che tengono a bada, da Napoli, lo stesso cognato. Allora il linguaggio si fa assai dinamico e pittoresco:
 
“…Statevene buono… che travagliano per nuie inzieme Pascàlone e due ‘e suoi figli fidati e anche la figlia della Nunziatella che è peggio tosta dei due masculilli! Già (di cani per le scommesse) ne abbiamo in gabbia otto che Totonno li fa più cattivi ogni giorno. Chillo pare fesso ma per farli cattivi ne studia una ogni giorno di chiù! E poi ho già fatto circolare la voce che ora ci siamo messi in proprio e che sabato notte si apre lo più grande sfizio ‘e munno, e le puntate, qui, a casa nostra, nella nostra arena, mi spiego! Già molti ‘o sanno e tanti si fermano in dalla via pe’ conoscere ora e luogo. Don Miché, non dipendiamo chù ‘e padrone! Ah siamo svincoli ora! Il gioco lo facimmo nuie E ne cadranno delle vittime qui Dovremmo ripulì e sacche a miezza ‘e Napule! Con a nostre fattecchia!”.
 
E tra le prime vittime proprio il cognato del maestro Gregorio…
 
Ma un brutto giorno la signora Isa, proprietaria del Vecchio Hotel du Lac, ormai ceduto, s’ammala: è, la Isa, un essenziale personaggio dell’intera storia. Infine dovrà andarsene… E pure al vecchio maestro Gregorio (che nel frattempo assumerà la direzione dell’Hotel du Lac) i giorni sono contati… 
 
Dice l’ Autour :  “Ora che tutto forse starà per essere lasciato, dimenticato, come accade, tutto si allontanerà, come direbbe il vecchio maestro Gregorio…”.
 
È proprio il maestro Gregorio, prima d’andarsene (la storia qui finisce e non finisce), a ripensare a una poesia di Tomas Tranströmer che da sempre aveva tanto amato:
 
Fantastico sentire come la mia poesia cresce
Mentre io mi ritiro

Cresce, prende il mio posto.
Mi toglie di mezzo.

 
“La poesia è pronta, ripeté tra sé e sé Gregorio, ripensando al nulla.”.
 
Caro Manzoni molte altre cose ci sarebbero da dire in proposito anche in particolare per i lettori di “Testuale” che leggeranno questa breve lettera sul n.60/2017 della rivista, e si diranno, come l’Autour:
 
“… Ma a me, compagno di viaggio, piacerebbe conoscere alcune cose che non mi sono chiare, che poco ho capito…”.
 
Questa è la dismisura ignota, non raccontabile, di una narrazione che se va per fatti, vicende, personaggi, tuttavia si riveste, sommessamente, di quel mito anche individuale che nasce, al di là dei contenuti, dal radicale bisogno di affabulazione (insito nell’inconscio dell’uomo).