Ivan Pozzoni
La neoavanguardia e l’antiformalismo poetico
 
La svolta, nell’arte contemporaneissima, avviene ad inizio millennio, nel momento in cui i due nuclei teoretici della democrazia estetica («“dare voce” ai morti, ai dimenticati, ai diseredati dell’umanità e della storia») e della rivolta della nuova anti-«poesia» chorastica contro il sistema-«poesia» si combinano nell’intuizione, infra classem, del riconoscimento della sconfitta / crisi dei modelli, classici, di scrittura tradizionale: «L’io lirico moderno nasce, come “anima inquieta”, dall’Ahaerlebnis dell’hic et nunc, dalla memoria del senso individuale (autopsia) […] L’essere umano / artista, svincolato da un intenso senso di comunità, si abbandona ad un anacoretismo da estrema difesa, distante da istanze di comunicazione e di condivisione» [La sconfitta della scrittura. Ai confini tra uomo e arte, in I. POZZONI, Galata morente, Villasanta, Limina Mentis, 2010, 12 e 14]. La crisi della nozione tradizionale di comunità condanna i modelli di scrittura tradizionale all’«autismo» artistico. Come monomi dello stesso binomio cadono, insieme, regione dei monti, terra di oi barbaroi, modo dall’emotività spontanea dello thumós e regione della città, terra della civitas comunitaria, modo della razionalità organizzata del lógos: rimane, in una inesorabile «situazione-limite», la regione intermedia della chóra, terra di nessuno e di tutti, no-where zone, abitata da individui condannati a vivere su un’eterna «soglia». «L’inclusività, tratto naturale della nozione occidentale di comunità, è sostituita da un orizzonte di esclusione in cui si dibattono disorientati individui in cerca di sicurezza e di un momento di sollievo dall’ansia […] sulle tracce della nozione di esclusività Bauman arriva ad assimilare nozione di “comunità minima” (stato minimo nozickiano) del tardomoderno e modello del reality show, […] coniando l’immagine teoretica di “comunità guardaroba”, idonea a sostituire uffici e funzioni della nozione tradizionale di comunità» [La crisi della nozione tradizionale di comunità: nuove forme di dominanza e di resistenza in I. POZZONI (a cura di), Demokratika, Villasanta, Limina Mentis, 2010, 10/11]. Fuoriuscendo dall’immagine baumaniana di una «centrifuga socioculturale» e dalla cartografia infernale della miseria (Onfray), le nuove élites dominanti si svincolano, come da una zavorra, dalla nozione stessa di «identità», massimo frutto del modello moderno di comunità, riscoprendosi «nomadi». Contro l’ideologia di una vita trendy difesa da una minoritaria e inafferrabile élite nomade, contro una «società dello spettacolo» irrigidita dalle norme del super-capitalismo consumista, contro ogni esaltazione estrema delle forme e della forma, le sacche «marginali» di resistenza e sovversione devono erigere barricate basate su un’etica cinica e antiformalistica, irrobustita dal ricorso all’anonimato e alla serena accettazione di esso; combattendo le élites dominanti sulla medesima dimensione del nomadismo e dell’inafferrabilità, trasformandosi in mostri anti-mostro, i centri «marginali» di resistenza e sovversione devono sostituire, a tentativi di edificare etiche tradizionali, cadute vittima della crisi della comunità occidentale, coi suoi istituti e coi suoi ordinamenti, istanze di concretizzazione, nelle assemblee dell’arte, di etiche estetiche (estetiche normative, sostenute dalla metaetica emotivista, nata con A.J. Ayer e conciliata col normativismo di Hare da C.L. Stevenson), centrate sull’incontro tra metaetica emotivista e antiformalismo artistico. Messa al bando la nozione tradizionale di comunità dal concetto di «comunità guardaroba», non cessano, nelle aree «marginali» di resistenza e sovversione, i tentativi di costruire nuovi modelli di comunità, ricavati dall’intersezione tra etica ed arte; vivendo in simbiosi con l’universo morale, il mondo dell’arte sarà centro di irradiazione d’una innovativa weltanschauung democratica (democrazia estetica). Guerrilla metrica, combattimento artistico, rivolta sovversiva contro ogni forma moribonda di «poesia» civile e di «poesia» a-civile sono i tratti di una coerente anti-«poesia» chorastica, intesa come medium massimo di auto-determinazione individuale e di dialegesthai comunitario.      

Cosa significa «Chorastikà», cioè i canti della «soglia»? Descriverei il significato di «chorastico» con un utilissimo termine rubato, a fini terapeutici, da Binswanger a Jaspers e, originariamente, da Jaspers a Von Gennep e Turner: «liminalità» [«[…] lo stato o la qualità di ambiguità che esiste nella fase centrale di determinati eventi o rituali (come un rito di passaggio o di una rivoluzione a livello di società), durante il quale l’individuo o gruppo partecipante non detiene più il suo status prerituale, ma non ha ancora raggiunto lo status che terrà quando il rituale è stato completato»]. La chóra è, nelle colonie elleniche antiche, la situazione liminale tra polis e oi barbaroi, la «situazione-limite» jaspersiana, tra città e monti, tra civiltà e barbarie, tra ragione ed emozione, tra forma e a-forma. I nostri versi chorastici, liminali, stanno, storicamente, nella crisi («situazione-limite») del moderno, nel tardomoderno, cioè sulla «soglia» tra due evi, tra due società, tra due categorie di weltanschaungeen. Cade ogni mera eventualità di «forma-poesia». Perché nel tardomoderno collassa l’entità minima di correlazione tra semiotica e mondo reale, basata sul trinomio classico «soggetto» / «verbo» / «oggetto», in un devastante corto circuito della mímesis tra semiotica e mondo. L’identità tra mondo e «grammatica» si disintegra: «soggetto» e «soggetto nominale», «azione» e «verbo», «oggetto» e «complemento oggetto» acquistano significati diversi, causati da un incontrastabile “balzo in avanti” del mondo:   “Molte cose sono successe negli ultimi venti o trent’anni. Per cominciare, abbiamo sperimentato la “rivoluzione amministrativa fase due”, surrettiziamente condotta all’insegna del “neoliberismo”. Gli amministratori culturali sono passati dalla “regolazione normativa” alla “seduzione”, dalla sorveglianza e dal pattugliamento quotidiani alle pubbliche relazioni, e dall’imperturbabile, iperregolato e routinario modello di potere panottico, che tutto sorvegliava e tutto monitorava, al dominio esercitato gettando il dominato in uno stato di incertezza e precarietà generalizzate [Unsicherheit], e al continuo quanto casuale sconvolgimento della routine. Poi è stata smantellata gradualmente anche quella struttura, tenuta in piedi dallo Stato, entro cui generalmente venivano esercitati gli aspetti preminenti della politica della vita quotidiana individuale, e quest’ultima è passata / slittata verso l’ambito presidiato dal mercato dei consumi” [Z. BAUMAN, L’etica in un mondo di consumatori, Roma-Bari, Laterza, 2010, 171].    Cade, ontologicamente, il concetto classico di «soggetto», inteso come costitutivo attivo dell’«azione»: il «soggetto» diviene homo eligens («L’unico “nucleo d’identità” destinato sicuramente ad emergere illeso, e forse perfino rafforzato, dal cambiamento continuo è quello dell’homo eligens – l’“uomo che sceglie”, ma non “che ha scelto”!- di un io stabilmente instabile, completamente incompleto, definitamente indefinito e autenticamente inautentico […]» [Z. BAUMAN, Vita liquida, Roma-Bari, Laterza, 2008, 26]). L’homo eligens, nuovo «soggetto», è costituente attivo dell’azione («attore»)  

“Lo smembramento e la disabilitazione dei centri tradizionali, sopraindividuali, rigidamente strutturati e fortemente strutturanti, sembrano correre in parallelo con la centralità emergente dell’io reso orfano. Nel vuoto lasciato dalla ritirata di autorità sempre più evanescenti, ora è l’io che si sforza di assumere, o è costretto ad assumere, la funzione di centro di Lebenswelt […] Il compito di tenere insieme la società (qualunque cosa possa significare “società” in condizioni di modernità liquida) viene “sussidiarizzato”, “subappaltato”, o semplicemente ricade sotto l’egida della politica della vita quotidiana […]” [Z. BAUMAN, L’etica in un mondo di consumatori, cit., 15], assumendosi la libertà dell’assunzione di ogni decisione connessa alla «[…] politica della vita quotidiana […]» come «sforzo» individuale; l’homo eligens, nuovo «soggetto», è, nello stesso «istante», costituente «non»-attivo dell’azione («vittima»):  

“Le forme tradizionali e istituzionali con cui si affrontano ansie e insicurezze nella vita familiare e di coppia, nei ruoli sessuali, nella coscienza di classe, nonché nei relativi partiti e nelle istituzioni, perdono importanza, e in misura corrispondente si attribuisce questo compito ai soggetti” [U. BECK, La società del rischio, Roma, Carocci, 2013, 100]. C’è una tendenza all’emersione di forme e condizioni di esistenza individualizzate che costringono gli uomini, nell’interesse della loro sopravvivenza materiale, a fare di se stessi il centro dei propri progetti e della propria condotta di vita [ivi, cit., 113], rientrando il «compito» della decisione nella categoria della «coazione», coercizione, o costrizione. L’homo eligens, nuovo «soggetto» storico, è, nel medesimo «istante», «soggetto» e «oggetto», «attore» e «vittima», dell’«azione» sociale. Parimenti cade, ontologicamente, il concetto classico di «oggetto», come costitutivo «non»-attivo dell’«azione»: l’«oggetto» diviene homo consumens («[L’attività del consumo] è diventata, agli occhi dei cittadini delle odierne società occidentali, una sorta di modello, o di parametro di riferimento, per tutte le altre attività. Giacché […] un ambito sempre più esteso della vita sociale viene ad essere assimilato al “modello del consumatore”, non sorprende più di tanto che la “metafisica” del consumismo sia diventata, strada facendo, una specie di filosofia implicita di tutta la vita moderna» [C. CAMPBELL, I shop therefore I know that I am, in K.M.Ekström- H.Brembeck, Elusive Consumption, Oxford, Berg, 2004, 41/42], dove un’ottima definizione del «[…] modello del consumatore […]» sia «[esso] associa l’idea di “soddisfazione” a quella di “stagnazione economica”: i bisogni non devono mai avere fine […] prevede che i bisogni di ciascuno di noi siano insaziabili, e in perenne ricerca di nuovi prodotti attraverso cui essere soddisfatti» [D. SLATER, Consumer Culture and Modernity, Cambridge, Polity Press, 1997, 100]), o, secondo Gilles Lipovetsky in Le bon-heur paradoxal (2006), homo consumericus. L’homo consumens, nuovo «oggetto», è costituente «non»-attivo dell’azione («merce»). Per farsi strada a gomitate nel denso e opaco, “deregolamentato” campo di battaglia della competitività globale, e poter conquistare l’attenzione del pubblico, beni, servizi e messaggi devono indurre desideri, e a questo fine devono sedurre i possibili clienti e battere i concorrenti proprio nella seduzione. Ma una volta che ci sono riusciti, devono fare spazio, e in fretta, per altri oggetti di desiderio, nel timore che si possa arrestare la caccia globale ai profitti, sempre maggiori (ribattezzati “crescita economica”) [Z. BAUMAN, Dentro la globalizzazione, Roma-Bari, Laterza, 2010, 88], essendo obiettivo di «seduzione» e non avendo nessuna facoltà di «[…] scelta di scegliere […]» («[…] i consumatori hanno tutti i motivi di pensare che sono loro, e loro soli, forse, a controllare il gioco. Sono i giudici, i critici, quelli che scelgono. Possono, dopo tutto, rifiutare ciascuna delle infinite scelte a disposizione. Tranne una: la scelta di scegliere tra quelle […]» [ivi, cit., 94]), come ogni altro essere “inanimato”; l’homo consumens, nuovo «oggetto», è, nello stesso «istante», costituente attivo dell’azione («evento»).  

Ma per la società capitalista avanzata, votata alla continua espansione della produzione, questo è un quadro psicologico estremamente limitante che alla fine cede il passo a un’“economia” psichica del tutto diversa. Il capriccio sostituisce il desiderio quale forza propulsiva del consumo [H. FERGUSON, The Lure of Dreams: Sigmund Freud and the Construction of Modernity, London, Routledge, 1966, 205], dotato del carattere libertario del «capriccio». L’homo consumens, nuovo «oggetto» storico, è, nel medesimo «istante», «oggetto» e «soggetto», «merce» ed «evento», dell’«azione» sociale. Il mondo tardomoderno circonda l’«azione» di «soggetti» attivi e «non»-attivi e di «oggetti» «non»-attivi e attivi, di «autori», di «vittime», di «merci» e di «eventi»:  

“Nella società dei consumatori nessuno può diventare soggetto senza prima trasformarsi in merce, e nessuno può tenere al sicuro la propria soggettività senza riportare in vita, risuscitare e reintegrare costantemente le capacità che vengono attribuite e richieste a una merce vendibile. La “soggettività” del “soggetto” […] è imperniata su uno sforzo senza fine del soggetto stesso per essere e restare una merce vendibile. La caratteristica più spiccata della società dei consumi è la trasformazione dei consumatori in merce […]” [Z. BAUMAN, Consumo, dunque sono, Roma-Bari, Laterza, 2010, 17], e viceversa.  

Per narrare, con i nostri inutili meta-récits («grands récits» in Lyotard), la concreta implosione di «soggetto» e «oggetto» sull’«azione» è divenuto insufficiente il richiamo a una «forma-poesia» fondata, con l’«immagine» tridimensionale o con la «metafora», sul trinomio classico «soggetto nominale» / «verbo» / «complemento oggetto». La soluzione, molto complessa, allo scollamento della mímesis tra semiotica e mondo, è rinvenibile a] nella concretizzazione di una efficace anti«forma-poesia», introdotta da un’aggiornata e combattiva «neon»-avanguardia e orientata a riformare l’intera «grammatica» novecentesca, e b] nella ri-definizione di un «predicato nominale», di una originale ontologia estetica, in grado di ridare energia o, addirittura, di novare al / il trinomio «soggetto nominale» / «verbo» / «complemento oggetto» (dilemma teoretico dell’«identità»). La stessa «critica», con massima umiltà, deve assumere coscienza del cambiamento del suo statuto metodologico: “Per quanto riguarda la “ricettività alla critica” la nostra società segue il modello del campeggio, mentre all’epoca in cui la “teoria critica” ricevette una forma definita a opera di Adorno e Horkheimer l’idea di critica era inscritta, non senza ragione, in un altro modello, quello della casa comune con le sue leggi e regole, l’assegnazione dei compiti e il controllo delle prestazioni” [Z. Bauman, La società individualizzata, Bologna, Il Mulino, 2002, 130/131].   Insomma, chi non abbia orecchio da intendere, intenda: noi abbiamo iniziato a utilizzare la roulotte.