Cesare Viviani, “Osare Dire”, Einaudi Ed. Torino 2016
Caro Cesare,
grazie di “Osare Dire” che sto centellinando con coinvolto interesse. Il rapporto fra il disagio della vita e la verità della parola ‘osata’ mi pare la dominante di questa tua recente raccolta. Fino al dolore quale dismisura del mistero (propriamente del mystikós):
Così questi
graffianti,
fastidiosi,
dolorosi
roveti
possono
diventare
mistici.
Mi rammento di un aforisma di René Char: “Essere poeta significa avere appetito per un malessere il cui consumo, fra i turbini della totalità delle cose esistenti e presentite, provoca, al momento di esaurirsi, la felicità”. Per inciso sottolineo una affermazione in quarta di copertina: “Dunque una rinnovata fiducia nella poesia”. Un ricco dono di epifonemi simili a quello ben noto del Petrarca: “…e ‘l conoscer chiaramente / che quanto piace al mondo è breve sogno”. Poesia gnomica, questa tua, che sfugge alla sentenza retorica poiché è sostenuta da una pacata, sovente triste, personale rassegnazione:
Sappiamo
che non è grande
la
differenza di tempo di immersione
tra
battezzare e annegare.
La felicità della poesia di cui parla Char è da te raggiunta nell’amore per la natura, e per la nascosta verginità di quelle ormai rare cose che contino oltre la propria decadenza, il proprio degrado. Tuttavia, la natura stessa, e quelle cose, sono filtrate dalla parola, e dalla parola poetica per quella rinnovata fiducia in essa di cui è stato detto:
Sarà
stata prigione o isolamento
ma
a un
certo punto arrivano le parole,
e
allora
non c’è più prato e cielo,
ricordi
e
prossimità,
paradisi
a
conforto,
prove
di
libertà,
ci
sono loro.
E le parole, in un nuovo giorno, ravvivano comunque:
Le
leggende del bosco
tramandate
dal bosco,
con
i
chiaroscuri e gli improvvisi
annebbiamenti,
le grotte
e
le
oscillazioni dei rami a nascondere,
a
coprire
grazie
e
disgrazie
a
non
finire,
bambini
persi e vecchi carbonizzati,
e
l’alba
ogni giorno
a
restituire i colori,
a
scacciare le paure,
a
dare
coraggio alle gemme,
ai
visitatori,
agli
ascoltatori.
Più
dell’identità personale conta
lo
sferragliare del tram,
le
voci dei passanti,
i
rumori dei lavori
in
corso.
Intitolerei queste mie povere osservazioni sulla tua poesia La Vita Semplice: ma nel leggere e rileggere questa tua coerente raccolta dovrei riprendere parola per parola le mille occasioni di quella ma anche, con dispiacere temperato dalla pazienza, quelle tue che la vita semplice ogni giorno non manca di spingerti a talune giustificatissime indignate impazienze.
Con la solita affettuosa simpatia.