Jean Flaminien, .
L’Infinitudine” (Book Editore, Bologna, 2013)

Dopo le avventure di ricerca linguistico-formale del secolo scorso la poesia di fine ‘900 e oltre, è stata umiliata (quando si voglia intendere poesia come segno o parola autenticamente originari, virginali, totalizzanti, aperti e (in)leggibili, per dirla con Gramigna, priva di pretese moralistiche), da una reazionaria indigenza stilistica e di senso. Sono ricomparse le geremiadi soggettivistiche sprofondate nelle nebbie dei paesaggi di maniera, e così via. Tradita la convinzione di un poesia, che è, come è sempre stata se autentica, la Cosa che nasce e vive in sé, oltre ogni utilitarismo semantico: non è blasfemo riprendere per la poesia autentica, il concetto secondo il quale Dio è ciò che è, insofferente di umanoidi orpelli aggettivali (“l’inseità è inconoscibile”: Kant, Meister Eckhart, Cesare Brandi, Gramigna…). Il banale e deleterio ‘richiamo all’ordine’ ha trovato credito in certe recensioni dei quotidiani, populismo di bassa lega, commercial-editoriale. Per altro il contesto culturale e sociale, tanto modesto per la cultura letteraria e artistica, e musicale, fa opportunamente da sfondo a questa iattura.

Fortunatamente sopravvivono nicchie di grande merito resistenziale, di coscienza poetica tout-court: riviste e edizioni quali il verri di Milano, Anterem di Verona, Steeve di Modena, Book Editore di Bologna (con la pregevole dedizione, fra gli altri, all’opera di Roberto Sanesi). Qualche raro prodotto Einaudi. E questo periodico, L’immaginazione, sempre ricco di proposte. E ancora, forse, qualche altra esperienza. Sebbene si aggiunga una campagna insipiente in atto, probabilmente programmata, disgregante, con gravi ostacoli anche economici. E condannabili carenze di natura mercantile nella distribuzione libraria.

Uno dei pochi doni di prestigio ci è arrivato in lingua francese da Jean Flaminien, scrittore vivente in Spagna, intellettuale raffinatissimo, coinvolto in pregevoli attività letterarie d’Oltralpe, e curatore fra l’altro, dell’opera omnia di Saint-John Perse.

Il volume citato in incipit, L’infinitudine, offertoci dalla bella, puntuale seppur creativa, traduzione della poetessa Marica Larocchi, ripropone le raccolte che l’autore è andato componendo dal 2001 (Soste fughe, Graal portatile, Pratiche di spossessamento, L’acqua promessa, Preservare la luce). La prefazione è di Julien Rixens, i saggi della stessa Larocchi, Antonio Rossi, Stefano Agosti e Serge Raphael Canadas.

La libera dismisura stilistico-retorico-spaziale della poesia di Flaminien, al di là di ogni manierismo tradizionale, è subito annunciata dai titoli in cui, fra luci e acque, si rivela una straordinaria leggerezza e proficua ambigua liquidità, una forma fluens di raro coinvolgimento.

C’è il senso biologico e cosmologico della nascita del segno, che si fa parola e immagine, rinnovandosi secondo una interminabilità che va ben l’Oltre (e si assesta nel profondo dell’universo materico e immaginifico, appunto), senza principio e senza fine. Perpetuo. Il moto immoto della vita stessa. Dell’Essere nel Divenire. L’origine della parola non è da ricercarsi nella storia o nella preistoria, ma nella sua continua rinascita nell’approssimarsi alla poesia. Là dove si integrano il Tutto e il Nulla, il dritto e il rovescio, la certezza materica e la sua ambiguità ininterpretabile se non dai sensi muti eppur vivi e prolifici nello stretto rapporto con la natura. Qui possiamo citare solo alcuni versi esemplari:

Di sé nulla sanno / gli astri in cielo / né gli uccelli sulla terra; / di loro nulla…Non è terra / ciò che si apre / sotto i nostri passi, / ma è sempre il cielo / sepolto all’insieme di tutti gli esseri / ogni mattino mostrati nuovo, /…/ gli occhi lassù rivolti; / e divieni per sempre / l’eterno innocente…


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