Emanuele La Rosa
Les objets à réaction poétique.
Materiali per un confronto fra Edoardo Sanguineti
ed Adriano Spatola


1. In un intervento pubblicato su “Il verri” nel 1962, Luciano Anceschi affermava che «una poesia ha particolari relazioni con un tempo, con una società», aggiungendo che «la storia, se è qualche cosa, è quel che è anche per il particolare senso della realtà che la poesia porta in essa».1 Altrimenti detto, non è data poesia – quando di poesia si parla – che non sia figlia del proprio tempo e che, nella sua Gestaltung, non porti dentro e con sé una certa visione critica del mondo.

È un periodo, quello in cui scrive il professore milanese, di grandi cambiamenti in Italia, e dal punto di vista economico e dal punto di vista sociale: produzione industriale e boom economico, avvento e diffusione dei mezzi di comunicazione di massa e mercificazione anche del prodotto artistico incidono in misura determinante sul rinnovamento della cosa poetica già a partire dalla metà degli anni Cinquanta. Alcuni autori più sensibili a tali cambiamenti iniziano a muoversi verso una poesia intesa quale accrescimento di vitalità,2 in contrapposizione alla poesia dominante in Italia nel decennio post-bellico, intesa come «arte anacoreta»: se in quest’ultima «si ha una esasperazione (in qualche modo demiurgica e sacra) dell’io con una riduzione dei contenuti oggettivi, nell’[altra] si ha invece una riduzione (che è anche riduzione del demiurgico, del sacro) dell’io, e quasi uno scatenarsi dei contenuti oggettivi».3 In altre parole, a fronte di un io alienato, frantumato o scisso, si assiste alla nascita di una poesia in cui l’io poetico – e il lirismo che esso comporta – non ha più per sé né uno spazio, né un attivo ruolo fattuale (o, detto con Anceschi, demiurgico). Da una poesia ante o post rem, si passa ad una poesia in re, in cui – e il paragone in chiave di terminologia narratologica non sembri del tutto casuale – la focalizzazione sia interna alle cose della realtà rappresentata, i cui elementi vengono estrapolati senza che l’io lirico vi si inserisca attraverso letture preconcette o a posteriori.

Questo passaggio da una poesia di tipo (post)ermetico e neorealista ad una di tipo “novissimo” comporta un cambiamento radicale nel rapporto tra soggetto ed oggetto e tra oggetto e simbolo. Se, ad esempio, nella poesia ermetica l’oggetto è inteso quale portatore di significati simbolici che gli vengono affidati dall’io lirico (si pensi a Montale o Sbarbaro), nella poesia intesa come accrescimento di vitalità l’oggetto perde ogni sua possibile connotazione simbolica, diventando un campione (discreto) più o meno significativo di realtà. Per dirla con Sanguineti, si attua un passaggio dal SEGNO al segno,4 in cui la funzione simbolica dell’oggetto viene sostituita da «una prospettiva allegorica»5 (ma forse meglio dire metonimica nel senso datone da Walter Pedullà) che fornisce “informazioni” sulla realtà rappresentata senza farlo apertamente, ma accennandovi, lasciando il significato globale all’interazione dei singoli significanti (non necessariamente in un rapporto semantico orizzontale) tra loro.

Questa nuova poetica oggettuale comporta dei cambiamenti radicali in sede poetologica, schematicamente riassumibili nei seguenti punti:

a) atteggiamento di tipo fenomenologico nel senso husserliano;6 b) destituzione del ruolo dell’io lirico come ordinatore della realtà; c) registrazione della mercificazione e della reificazione della realtà presentata; d) diluvio oggettuale organizzato secondo criteri mobili; e) tecnica elencativa asindetica o polisindetica; f) assemblage e collage di derivazione dada-surrealista in fase di montaggio; g) riutilizzo della tecnica della scrittura automatica di matrice surrealista.

La scelta, in fase combinatoria, di una rappresentazione caotica e frantumata (schizomorfa, secondo la definizione di Giuliani) della dimensione oggettuale del reale, appare la risposta più adeguata alla domanda su come trovare una soluzione linguistica adatta ad esprimere il magma reificato del reale.

2. Questa soluzione linguistica non è tanto – o non solo – una forma linguistica che, in sede di poetica, si contrappone ad una soluzione di tipo ermetico o neorealista, ma è portatrice di una precisa ideologia nel momento in cui si p(rop)one come risposta al processo di mercificazione della realtà e dello stesso fare artistico. Per dirla con Sanguineti, questa si articola su due livelli, secondo «un ordine sovrastrutturale, per cui l’avanguardia si configura come fenomeno linguistico-ideologico […] e un ordine strutturale, per cui essa si configura come risposta dell’artista […] alle condizioni economiche di fatto della società»,7 da cui deriva la funzione dell’avanguardia di esprimere «una verità generale di carattere sociale, e non già, semplicemente, una verità particolare di carattere estetico».8

Quando Sanguineti parla di “letteratura della crudeltà” in riferimento all’opera neoavanguardistica, intende esattamente uno «spazio sperimentale dove si decide la dialettica […] delle parole e delle cose»:9


Una letteratura della crudeltà opera in uno spazio storico in cui la parola è concretamente […] una ideologia nella forma del linguaggio. In termini antropologici-storici, con adeguate correzioni, si ripropone il problema della funzione classificatrice. […] È in questo senso, precisamente, che ogni struttura di linguaggio è “visione del mondo”. La crudeltà indica, al riguardo, il grado di cinismo violento con cui la parola è capace di proporre una nuova dimensione classificatoria, nell’atto in cui sperimenta e critica, nell’orizzonte della letteratura, i nessi reali delle cose stesse.10


Data l’impossibilità di ristabilire un ordine semantico orizzontale tra parola e cosa, tra significante e significato, mercé del fatto che tale ordine non può più esistere (giacché la società capitalista annulla il significato referenziale-simbolico dell’oggetto-parola per sostituirlo con uno allegorico),11 una scelta di rappresentazione del reale a posteriori, frutto dell’interpolazione positivistica di un io ancora integro, appare non più praticabile. L’io che, come detto, è adesso un io scisso e reificato all’interno del caos del reale, non possiede più alcun criterio di gerarchizzazione della materia, giacché vi si trova pienamente immerso. Ciò che gli rimane è, appunto, riportare oggetti-campione nella forma di un catalogo caotico, all’interno del quale siano i nessi tra oggetto e oggetto a costituire un significato, che resta comunque mobile.

3. Nella sua prima raccolta poetica, il famoso Laborintus del 1956, Sanguineti mette in scena il percorso di conoscenza e di realizzazione di sé di un io parcellizzato e disperso all’interno del magma caotico della Palus putredinis, luogo sensibile e mentale in cui si intrecciano le dimensioni del reale e dell’onirico. Se il processo di costruzione del Selbst sembra corrispondere perfettamente alle tappe dell’opus alchemicum letto in chiave junghiana,12 interessante risulta evidenziare come questo si articoli attraverso lo scioglimento del caos attuato anche attraverso la nominazione (intesa come conoscenza) di uno sclerotico catalogo di oggetti.

Ai fini della nostra analisi, significative appaiono le sezioni centrali di Laborintus (XII, XIII, XIV), in cui si assiste al processo di dissolvimento e sostituzione di Ellie, figura femminina «immagine dell’anima […] gettata in un “processo di individuazione”».13

Nella sez. XII viene messo in scena il processo di morte, «rinascita e palingenesi delle componenti di Ellie»14 iniziato nelle sezioni addietro e concludentesi nelle seguenti. Esso si presenta nel testo sotto forma di «visioni esplosive» che sono «il risultato estremo della confusione causata dal clinamen [degli] oggetti, la cui caoticità […] è quella stessa del reale».15


gengiva congelata dalle visioni esplosive
                                                                 Ellie concetto di concetto
coscia pulita actus tragicus
                                           mnemonico totius orbis thensaurus
giocare ai birilli e alla morte ogni notte attiva
perché in grandezza naturale sei la cimice delle botti
e la scheggia di sapone
                                     dunque fu indispensabile ingrandirti diecimila volte
(il re di Danimarca era notoriamente incredibilmente alto)
                                                                                              questo paradiso
oh io devo riassumere per le tue città e per i tuoi ospizi
per le equazioni lunari e solari
                                                 per il calendario perpetuo della tua bocca
e dei tuoi vapori meravigliosi
                                               confortare il cuscino dominante dell’enfasi
la caldaia o la sibilla del tuo cono e dei tuoi cammelli
dei tuoi papaveri delle tue tenaglie dei tuoi guinzagli
del vetro o della collina
                                     del vocabolo prescelto
che porta in grembo le tue fotografie negative


oh sigillata testa vera testa del prodigio
distendere costui (proprio nella sua cassa toracica)
leccare la chiarezza dell’intelletto
confortare i tasti della tua partecipazione
                                                                   con istinto parallelo
la mia cintura confortare di microscopi bronchiali
perché il tempo azzanna la pagina di fronte al complice sublime
la medesima cosa estesa e le sue pietre corali
perché ogni freno è ormai digerito
                                                       ogni fondazione ha in gola
la propria teodicea
                               quante ricette hanno la loro spada
e quanti castelli il loro telegramma medio di terrori
                                                                                  alcune arie
sono dotate di un margine pastoso


e ogni comportamento trascina la sua morte sulla schiena
Ellie (poiché è straordinariamente prossima) trascina le instantiae crucis
questi fatti segnati trascinano tropi trascendentali
per distruggere la nostra evidenza
                                                       in misura proclamata
16


Nella prima parte del componimento vengono presentate le qualità di Ellie, che è «actus tragicus» nel duplice significato letterale di “atto tragico” e concreto di Cantata funebre Gottes Zeit ist die allerbeste Zeit (BWV 106) di J.S. Bach, con possibile rimando al concetto di morte come nuova fondazione. Ellie è però anche «mnemonico totius orbis thensaurus», cioè insieme “tesoro intellettuale del mondo intero” e “tesauro” nel senso di raccolta di termini ordinati tra loro secondo criteri onomasiologici. Ellie, «cimice delle botti» e «scheggia di sapone», viene ingrandita «diecimila volte» («microscopi bronchiali»): il «per» che segue ripetendosi serve a scandire «le fasi dell’esperimento»,17 che si snoda attraverso luoghi “mentali” e concreti («le tue città» e «i tuoi ospizi»). La verifica dell’esperimento («confortare») è attuata attraverso una rassegna “surrealista” di oggetti tra i più disparati: «cuscino», «caldaia», «tenaglie», «guinzagli», «fotografie negative».

La nuova fondazione ha però con sé la «propria teodicea», concetto filosofico-religioso anche in questo caso espresso attraverso una figurazione di gusto surrealista: «quante ricette hanno la loro spada», «quanti castelli il loro telegramma medio di terrori».

Nella sezione successiva, la XIII, vengono elencate le qualità tangibili di Ellie, presentata nei versi introduttivi come «disastroso oggetto mentale» e «anima del Quadruplice mondo». È, questa, una indicazione fondamentale non solo perché ribadisce l’appartenenza di Ellie alla sfera del “materiale”,18 ma anche perché rimanda ad un concetto alchemico di realizzazione del Selbst attraverso la parola,19 ed infatti Ellie è «parola incrociata», «lettera fulminata», «cambio di vocale» e oggetto materiale di trasmissione del suono («amplificatore ad altra frequenza»). È «in ogni elemento» e racchiude il sapere («anfora», «enciclopedia scientifica»), e permette a chi è capace di utilizzarla correttamente di vedere il mondo («lanterna magica»).


oh torrenti subordinati della realtà oh Ellie occulta
disastroso oggetto mentale
localizzazione dell’irrazionale quaderno

                                                               oh incanto universale del valore
ogni storia è una generazione equivoca dell’ispezione
e tu sei l’anima delirante del Quadruplice mondo
tutta la montagna sei dell’ideazione

                                                         montagna in sogno affatto polifonica
anfora sommariamente telepatica
                                                      oh proseguimento
oh parola incrociata comparativa
oh troppo breve pausa di latte attivo armonico
lettera fulminata

                           e abietto piroscafo e amido umido


nei pozzi vederti come la luna dormire
come la luna dei ragni e i ladri di cavalli e la pietra focaia
dentro la candela più misericordiosa delle dita

                                                                          come il giornale della sera
come la metafora
                            tu sei il cambio di vocale e l’amplificatore
ad alta frequenza
                            e l’enciclopedia scientifica
sei tutta in ogni elemento
                                        sei questo parametro facilissimo
della estrazione della mia disgrazia aperta

oh totius orbis thensaurus mnemonico thensaurus
sempre sempre sarai la mia lanterna magica

                                                                       et nomina cruda tenemus
in nudum carnalem amorem et in nudam constructionem
corporis tui
20


La sezione XIV mette in scena l’esaurimento di Ellie come “virgiliana” guida all’interno della Palus, ed infatti il sintagma «devo sostituirti» funzionalizza il turbinoso catalogo di oggetti, anche artificiali, attraverso cui la sostituzione deve avere luogo («trombe», «sinagoghe» – rimando alla sfera religiosa –, «stazioni termali» e «circhi equestri» – rimando ad una dimensione ludica –). Questo caotico «inventario della realtà»21 sviscerato secondo criteri non lontani dalla tecnica di scrittura automatica surrealista22 è funzionale anche alla fase di eliminazione delle scorie materiali dal «mio argento».23 L’operazione di sostituzione di Ellie si conclude attraverso un rito di fagocitazione («scodelle truccate», «devo mangiare», «trattare anche l’ospedale psichiatrico» – con riferimento alla sfera psichica –), affinché le qualità del fagocitato si possano mescolare con quelle del fagocitante.


con le quattro tonsille in fermentazione con le trombe con i cadaveri
con le sinagoghe devo sostituirti con le stazioni termali con i logaritmi
con i circhi equestri

                               con dieci monosillabi che esprimano dolore
con dieci numeri brevi che esprimano perturbazioni
                                                                                  mettere la polvere
nei tuoi denti le pastiglie nei tuoi tappeti aprire le mie sorgenti
dentro il tuo antichissimo atlante

                                                     i tuoi fiori sospenderò finalmente
ai testicoli dei cimiteri ai divani del tuo ingegno
intestinale

                 devo con opportunità i tuoi almanacchi dal mio argento escludere
i tuoi tamburi dalle mie vesciche
                                                    il tuo arcipelago dai miei giornali
pitagorici
               piangere la pietra e la pietra e la pietra
la pietra ininterrottamente con il ghetto delle immaginazioni
in supplicazioni sognate di pietra

                                                    ma pietra che non porta distrazione
esplorare i colori della tua lingua come morti vermi mistici
di lacrime di pietra

                              ma pietra irrimediabilmente morale


il tuo filamento patetico rifiuta le scodelle truccate
i corpi ulcerati così vicini al disfacimento

                                                                  con la lima ispida
devo trattare i tuoi alberi del pane
                                                       devo mangiare il fuoco e la teosofia
trattare anche l’ospedale psichiatrico dei tuoi deserti rocciosi
oh più tollerante di qualche foresta
più nervale di qualsiasi nervo e pertanto scopertamente fibrosa
tratto la tua recisione e quando batte le immagini il tuo sputo spasmodico
oh esultanza che gli aghi sub specie mortis

                                                                    e adesso
il nonparlare il nonpensare il nonpiangere
disperatamente parlano pensano piangono durante il ventre della torpedine
in ipso nudo amore carnali

                                           in ipso animae et corporis matrimonio
per quale causa vomitano le tuniche intima anima e bastonano l’estate
e con la coda stimolano il sale e la pioggia?
24


Nell’ultima raccolta ospitata in Triperuno, Purgatorio de l’Inferno, la dimensione onirica viene abbandonata a favore di uno stretto intreccio tra asse storico e privato. Nel testo in cui si assiste alla dantesca uscita dal fango della Palus putredinis,25 la narrazione non è tuttavia ancora data:


Da un solo o pochi e congruenti fatti, bensì da una loro incongrua miriade, atomi e spezzoni ancora incandescenti della realtà […]. A livello semiotico ciò significa due cose in una: 1) simultaneismo appercettivo del soggetto; 2) ovvero la realtà è ancora esperita come caos […]. L’asse paradigmatico, insomma, disturba e scompagina tuttora quello sintagmatico. In tale stato confusionale (pre-coscenziale) non può darsi altro che l’inventario sconnesso e “rumoristico” proprio del Purgatorio.26


Nelle sezioni qui prese in analisi (I, IX, X)27 l’io parlante è un padre che si rivolge direttamente ai figli Federico ed Alessandro («tu») indicando, attraverso la nominazione, un caotico elenco di oggetti e merci col fine pedagogico di metter loro in guardia «dalle crudeltà e dalle mistificazioni […] delle cose in cui ci si può imbattere ogni giorno».28

Il componimento introduttivo, prima di essere pubblicato in volume, apparve significativamente sotto il titolo Alphabetum nell’antologia I Novissimi. Attraverso un climax ascendente, l’io che indica e nomina getta di fronte al “tu” oggetti artificiali e naturali, animali, date e luoghi geografici che hanno come scopo quello di fornire la «descrittione del gran paese», ovvero il paese di Cuccagna, dove tutto è lecito e dove – per rovescio – chi lavora «anderà in pregione». Questi oggetti sono però irrelati e non creano alcuna rete di significanza tra loro; non hanno alcuna qualità o funzione esplicita: sono degli oggetti che metonimicamente indicano la realtà, senza però spiegarla. La ricostruzione di un significato, qualora possibile, è lasciata interamente alla coscienza critica e politica del figlio.


ti attende il filo spinato, la vespa, la vipera, il nichel
bianco e lucente che non si ossida all’aria
                                                                  ti attende Pitagora
che
disse che delle cose è sostanza il numero
                                                                      e tu prendi del polipo
gli otto tentacoli guerniti di ventose e An die Hoffnung (op. 94)
perché questo, questo lo prendono (essi)
                                                               lo prendono perche lo trovano


osserva Iside e i costumi abruzzesi, le medaglie per la campagna di Cina
del 1901, la maschera di Peppe Nappa
                                                             la città di Cannstadt
che fu incorporata nella città di Stuttgart nel 1905
e conoscerai la confindustria e la svastica, il 13 maggio e il 24 gennaio
lo spillo di sicurezza che non sa pungere, il lecco lecco e lo Spirito
Santo
        E tu prendi il gliconio e la glicerina, e Hans Pfeiffer
che nacque a Kassel nel 1907, perché questo, questo lo prendono
(essi), lo prendono perché lo trovano
                                                          perché lo trovano a lavorare
perché questa è, Federico, la
descrittione del gran paese: è la targa
automobilistica della provincia di Foggia (FG)
                                                                          è la nave di linea a vapore
1870, è il babbuino, è il bisonte
                                                 e tu prendi gli urodeli e il ministro

Pella, la
méthode des tractions rythmées de la langue (due à
Laborde), il Petrus amat multum dominam Bertam
                                                                                 perché questo,
questo lo prendono (essi), lo prendono perché lo trovano, perché
lo trovano a lavorare (…)
                                         et anderà in pregione.
29


Nella sezione IX il padre che parla promette al figlio, come sfogliando il catalogo di un grande magazzino, l’acquisto di una serie di merci riconducibili ora alla sfera del gioco («lunga spada blu di plastica», «robot», «grosso capidoglio di gomma piuma», «pirata con una gamba di legno»), ora a quella della quotidianità («frigorifero Bosch in miniatura», «quaderno con tredici righe», «catechismo con illustrazioni a colori», ecc…). Improvvisamente compaiono però anche altri oggetti («piccola maschera antigas», «coltello a serramanico», «bella scheggia di una bella bomba a mano»), la cui funzione è quella di scombussolare e nello stesso tempo minare il tranquillo inventario del quotidiano. Gli ultimi versi, in cui si ripromette l’acquisto di un fratellino, rivelano che la mercificazione all’interno della società capitalistica riguarda non solo i beni di consumo, ma penetra in profondità anche nella sfera sociale e nei rapporti tra persone.


piangi piangi, che ti compero una lunga spada blu di plastica, un frigorifero
Bosch in miniatura, un salvadanaio di terra cotta, un quaderno

con tredici righe, un’azione della Montecatini: 

                                                                          piangi piangi, che ti compero
una piccola maschera antigas, un flacone di sciroppo ricostituente,
un robot, un catechismo con illustrazioni a colori, una carta geografica
con bandierine vittoriose: 

                                         piangi piangi, che ti compero un grosso capidoglio
di gomma piuma, un albero di Natale, un pirata con una gamba
di legno, un coltello a serramanico, una bella scheggia di una bella
bomba a mano: 

                         piangi piangi, che ti compero tanti francobolli
dell’Algeria francese, tanti succhi di frutta, tante teste di legno,
tante teste di moro, tante teste di morto: 

                                                                oh ridi ridi, che ti compero
un fratellino: che così tu lo chiami per nome: che così tu lo chiami
Michele:30


La sezione che conclude questo nostro discorso su Sanguineti, la X, tira in un certo senso le somme su quanto detto fino ad ora circa la rappresentazione data in Triperuno della reificazione e mercificazione della realtà. Rivolgendosi ad un altro figlio, questa volta Alessandro, il padre che parla ed indica sfoglia nuovamente un catalogo («ma se volti pagina», «ma se volti il foglio») universale in cui tutto ciò che vi è contenuto assurge orizzontalmente al valore di merce, ovvero di sostituto del denaro. Anche in questo caso la “danarizzazione” coinvolge significativamente la sfera bellica, come ben riassunto dal sintagma «casse di risparmio», in cui il primo termine rimanda ai precedenti («mitragliatrici», «cimiteri», «tombe»), mentre il secondo alla sfera del denaro (in cui rientrano anche le «cassette di sicurezza»).

questo è il gatto con gli stivali, questa è la pace di Barcellona
fra Carlo V e Clemente VII, è la locomotiva, è il pesco

fiorito, è il cavalluccio marino: ma se volti pagina, Alessandro
ci vedi il denaro:
                          questi sono i satelliti di Giove, questa è l’autostrada
del Sole, è la lavagna quadrettata, è il primo volume dei Poetae
Latini Aevi Carolini, sono le scarpe, sono le bugie, è la scuola di Atene, è il burro,
è una cartolina che mi è arrivata oggi dalla Finlandia, è il muscolo massetere,
è il parto: ma se volti foglio, Alessandro, ci vedi
il denaro:
              e questo è il denaro,
e questi sono i generali con le loro mitragliatrici, e sono i cimiteri
con le loro tombe, e sono le casse di risparmio con le loro cassette
di sicurezza, e sono i libri di storia con le loro storie:

ma se volti il foglio, Alessandro, non ci vedi niente:31


Tibor Wlassics parla per questi tre componimenti di Purgatorio di «favola didattica».32 Il verso di chiusura può essere pertanto letto come la morale rivelata al figlio: il rovescio della medaglia mostra il nulla che sottende la dinamica capitalistica di monetizzazione del mondo.

4. Adriano Spatola, che agli esordi si muove in un contesto di isolamento per poi avvicinarsi sempre di più alle posizioni del Gruppo 63, già dall’inizio degli anni Sessanta riflette sulla possibilità di una letteratura che serva la verità e che rifiuti l’analisi ante rem della realtà. Per il giovane poeta, studente di filosofia all’università di Bologna (presso cui insegnava Anceschi), il problema è quello della «responsabilità» in senso morale dell’operatore letterario, di come, cioè, egli sia «responsabile di fronte a se stesso e di fronte al tempo, oserei dire di fronte alla verità del tempo».33 Nella resa pratica, questa verità può essere rappresentata attraverso un mirato utilizzo della lingua intesa come campo d’azione del poeta nella storia, essendo il linguaggio «anche l’attività che riflette la sua posizione come individuo, e come individuo sociale».34 Spatola individua nello humor noir di ascendenza surrealista l’atteggiamento attraverso il quale rendere la realtà che si rappresenta; il poeta che se ne serve, «scopre di potersi identificare con qualsiasi personaggio, con qualsiasi atteggiamento linguistico verso la realtà».35

In sede combinatoria è la tecnica della scrittura automatica che, «attinge[ndo] al grande inconscio sociologico della nostra civiltà»,36 combina uno di fianco all’altro gli oggetti più disparati i quali, «destituiti della loro esatta collocazione semantica, diventano dei semplici fonemi [ma forse meglio significanti] che vengono inseriti nel contesto in qualità di “elementi di riferimento” del linguaggio babelico»37 .

Un primo esempio può essere costituito da Una gita a Spoon River, pubblicata sul secondo ed ultimo numero di “Bab ilu”, la prima di una serie di riviste cui Spatola diede vita:


[…]

Le culle le maglie i bicchieri le tazze per il caffè
I parafanghi il cristallo le scarpe le bottiglie del latte
Giornali biglietti ciabatte poemi fotografie

Antipasti tovaglie barattoli frutta dessert

Il gatto di porcellana regalo di nozze la mia camicia
I tuoi reggicalze le mie mutande i nostri preservativi
Se li portano via da Spoon River per fare spazio
 

La vita con un principio e una fine è un eterno passaggio
Da Oriente a Ponente e ritorno intorno al punto centrale
Abitante del grembo non dirmi che vuoi cambiar casa
Fino a che i figli dei figli dei tuoi figli futuri

Verranno a Spoon River con i bulldozers per fare spazio
38


Spatola presenta un’altra Spoon River, nella quale si sono accumulati (ma potremmo dire, in senso chimico, precipitati) oggetti che hanno consumato la loro funzione e che ora sono solo «attestazione di una trascorsa presenza».39 Sono oggetti freddi, seppure possano istituire tra loro delle reti semantiche, cose private di significato che giacciono le une di fronte alle altre in attesa di un definitivo licenziamento. La loro fitta accumulazione asindetica rimanda non solo alla caoticità della realtà cui essi sono appartenuti, ma anche alla loro funzione di singoli oggetti-merce che, una volta utilizzati, perdono qualsiasi valore per venire gettati e raccolti in una necropoli oggettuale fin quando, in un futuro, verranno definitivamente buttati via «per fare spazio» ai residui di un’altra civiltà.

La necropoli di oggetti ritorna in una sezione de Il boomerang, componimento accolto ne L’ebreo negro, seconda raccolta poetica spatoliana. Questa volta però essa sembra ricoprire tutto l’abitato umano assurgendo a simbolo tangibile della legge d’obsolescenza che impera nel mondo dominato dal capitale. A livello semantico, due sono le linee direttrici che svelano il destino di questi oggetti che hanno consumato la loro funzione di merce: la prima evidenzia il momento della raccolta («carriole», «rimorchi», «autocarro», «rastrello-bulldozer»), la seconda la loro definitiva collocazione («necropoli», «tumuli», «tombe», «tomba», «urne», «giorno dei morti», «lapidi»).


necropoli di dodge, di carriole, di tralicci sventrati, di rimorchi-giardino nei quali tra la pioggia cresce l’erba
necropoli: tombe-macerie che l’autocarro scarica sulla riva del fiume, tumuli-detriti che la piena corrode e porta
al mare
quando gira l’impastatrice – sabbia, ghiaia e cemento – nella piazza scavata per le fondamenta due metri sotto il livello del piano stradale, sopra la carne viva della città
e nello scantinato la tomba di famiglia per macchine da scrivere, scaffali fitti di urne sopra le quali polvere cade dai nuovi modelli
ma sotto la tettoia, nell’arca della fabbrica, necropoli di biciclette – ciechi manubri, sellini

con rastrello-bulldozer che devasta negli orti le lattughe, sulla terrazza gerani dentro il vaso calpestati dall’uomo dell’antenna

necropoli-ponteggi: visitarli nel tardo tramonto nel giorno dei morti, dentro la nebbia, novembre, fari opachi, lapidi illeggibili
le date di N e di M si accendono e si spengono, variabile commossa intensità
40


Gli ultimi versi presi in analisi, e che chiudono il discorso su Spatola, compongono la terza sezione di un altro componimento lungo ospitato in L’ebreo negro, che risponde al titolo-manifesto di Catalogopoema. Anche in questo testo l’accumulazione di oggetti rimanda ad una trascorsa presenza, ma questa volta essi si mescolano con parti di corpo umano: la civiltà del capitale fagocita e digerisce ogni cosa («mosto che fermenta») e non fa alcuna differenza se la cosa fagocitata sia un oggetto o l’uomo stesso. Catalogopoema rappresenta inoltre un buon esempio di come Spatola costruisca il testo poetico, nel quale da un significante di partenza possono esserne generati altri attraverso figure di suono come l’allitterazione (rotative-rotocalco / palco-palombaro) o l’assonanza (vetro-vento) o, ancora, percorrendo un dato campo semantico (carro armato-> patton -> bazooka). Non a caso c’è chi ha parlato di «sistemazione gerarchica […] solo latamente evocata, rimanendo come tratto determinante nella selezione dei lessemi […] una quasi assoluta arbitrarietà a livello dei significati, nel quadro di una poesia [che] tende ad offrirsi come opus, come espressione di una capacità produttiva piuttosto che percettiva e gerarchica».41


le nuove rotative rotocalco i fuochi fatui il carro armato patton
e il bazooka fa centro e affonda dentro il palco il palombaro
dentro nel tino del mosto che fermenta galleggiano le scarpe
e stalattiti e stalagmiti e carpe e trote e la vescica gonfia
galleggiano le mani e dietro il vetro il vento gonfia le tendine
gonfia le singole dita il pollice il mignolo l’indice e l’anulare
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5. Tirando le somme di questo discorso sulla funzione che gli oggetti “a reazione poetica” hanno all’interno delle prime produzioni poetiche di Sanguineti e Spatola, è possibile mettere in evidenza alcuni punti in comune tra i due autori e – nondimeno – alcune differenze caratterizzanti.

a) Ruolo dell’io. «Soffrendo dell’alienazione che domina la società capitalistica, il soggetto appare “espropriato” (il termine è di Marx) della sua libertà e quindi anche della sua capacità comunicativa. [La] poesia [va quindi] concepita e praticata […] come messa in scena dell’alienazione e della disgregazione dalle quali il soggetto è colpito».43

Parlare di scomparsa totale dell’io lirico in Sanguineti e Spatola appare una tesi quantomeno azzardata, a meno che come “io lirico” non si faccia riferimento a quella categoria, consolidata dalla tradizione, di un io capace di controllare la realtà entro cui è calato. Ovvero, vi è scomparsa dell’io lirico in quanto produttore di senso, di simboli e di strutture allegoriche personali. Nei due poeti oggetto di questa analisi, l’io scisso ed alienato sopravvive in forma residuale, emergendo occasionalmente nel testo a livello grammaticale sotto forma verbale, pronominale o aggettivale. Non sussistendo più la possibilità di creare un significato personale da un’analisi del reale, l’io «è costretto a diventare soltanto un gestore del senso, colui, cioè, che assume sensi da “testi” che gli preesistono e li incrocia nella propria scrittura secondo precise intenzioni, così da ricavarne un “suo” senso».44 Ciò non significa, ad ogni modo, attuare un tipo di lettura post rem sui dati della realtà, bensì utilizzare un discreto di quei dati per poter ricostruire – ma sempre in misura parziale – la caoticità del reale per poterne poi uscire (è il caso del percorso tracciato da Sanguineti in Triperuno), oppure per il tentativo utopico di una ricostruzione di un senso del reale attraverso la comparazione e la giustapposizione di dati eviscerati nella forma dell’accumulazione elencativa (è il caso di Spatola).45

b) Criteri di selezione. Premesso che possa essere lecito parlare per Sanguineti e Spatola di una “poetica degli oggetti” altra, agli antipodi di quella (per esempio) ermetica e data, inoltre, come assodata una certa dose di debito che entrambi hanno nei confronti delle avanguardie storiche francesi (il Dada parigino e il Surrealismo bretoniano), può essere utile effettuare un distinguo dei criteri che dall’asse paradigmatico portano all’asse sintagmatico in fase combinatoria.

In Sanguineti, infatti, le immagini sembrano generarsi secondo criteri di assoluta arbitrarietà e sono tra loro, nella maggior parte dei casi, interscambiabili in maniera equipollente. Una sistemazione gerarchica degli oggetti appare di norma impossibile, essendo essi prelevati da una sorta di sacco-contenitore universale di significanti di ascendenza dadaista.46

Assunto che una certa dose di interscambiabilità possa essere applicata anche alle immagini e agli oggetti che calano nella poesia di Spatola, è tuttavia possibile affermare che i criteri di selezione rispondono sì ad una pratica di scrittura automatica surrealista, ma che, data una prima immagine, questa generi, secondo criteri diversi (appartenenza ad un dato cerchio semantico, filiazione sonora, ecc…), quelle successive. Non a caso v’è anche chi giustamente ha fatto notare questa «funzione autogenerativa» della poesia spatoliana.47

c) Scrittura atomica e tema bellico. Come risulta chiaro dall’analisi semantica, sia in Sanguineti che in Spatola vi è una classe di oggetti riconducibile alla sfera della terminologia bellica. Il dato, di per sé già significativo, può essere connesso con quello che Sanguineti chiama «sentimento novissimo nel senso di apocalittico»,48 il quale a sua volta si riallaccia al problema di «una scrittura adeguata all’era atomica».49 Nei testi analizzati, infatti, l’attenzione descrittiva è focalizzata sulla registrazione dell’accumulazione caotica di oggetti e situazioni che richiamano spesso chiaramente ad un contesto bellico. Dall’analisi di questi dati indiretti (e cioè metonimici) è possibile intuire quali siano i risultati prodotti dalla guerra stessa e, nella fattispecie, dall’esplosione dei «lunghi funghi fumosi»50. Si potrebbe addirittura affermare che il paesaggio di necropoli oggettuale presentato da Spatola o il magma di oggetti disparati che accompagnano l’uscita dalla Palus putredinis sanguinetiana siano non solo una rappresentazione delle conseguenze di una guerra passata, ma i possibili risultati di una prossima futura guerra atomica. Questo dato è tanto più interessante in quanto testimonia, tra le altre cose, un importante segnale di avvicinamento in poesia ad un tema che ha avuto – a partire dagli anni Cinquanta – un’enorme fortuna nella letteratura, soprattutto di fantascienza, fino almeno a tutti gli anni Ottanta.


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1 L. Anceschi, Orizzonte della poesia, in “Il verri”, n. 1, 1962; ora in Gruppo 63. Critica e teoria, a cura di N. Balestrini e A. Giuliani, Milano, Feltrinelli, 1976, p. 91.

2 «Scopo della “vera poesia contemporanea”, annotò Leopardi nel 1829, è di accrescere la vitalità […]. In ogni epoca la poesia non può essere “vera” se non è “contemporanea”; […] a che cosa? […]: al nostro sentimento della realtà, ovvero alla lingua che la realtà parla in noi con i suoi segni inconciliabili». (A. Giuliani, Introduzione, in I Novissimi. Poesie per gli anni ’60, a cura di Id., Torino, Einaudi, 19652, p. 15).

3 L. Anceschi, art. cit., p. 90.

4 Cfr. E. Sanguineti, Poesia e mitologia, in I Novissimi, cit., pp. 205-213.

5 T. Lisa, Le poetiche dell’oggetto da Luciano Anceschi ai Novissimi. Linee evolutive di un’istituzione della poesia del Novecento, Firenze, University Press, 2007, p. 41.

6 «La fenomenologia […] è ricerca di una fissazione della realtà oggettiva allo stato neutro, cioè spogliata dalla incrostazioni e mistificazioni operate dall’uomo». (L. Felici, Appunti sulla “nuova avanguardia”, in “Nuova antologia”, CI, fasc. 1984, aprile 1966, p. 514). Per Muzzioli si tratta di «una esigenza di autenticità, una direzione di scavo verso il flusso del vissuto (la famosa Erlebnis), verso il recupero dello stato puro dell’esperienza pre-categoriale». (F. Muzzioli, Teoria e critica della letteratura nelle avanguardie italiane degli anni sessanta, Roma, Istituto della Enciclopedia Italiana, 1982, p. 86). Al riguardo, e con riferimento alla lettura banfiana delle teorie di Husserl, illuminanti risultano le parole del giovane Adriano Spatola: «Ci interessa richiamare in questa sede alcuni dei motivi che con più urgenza ci sembra necessario trarre dall’insegnamento banfiano [:] tentativo di spezzare la violenza dogmatica […]; tentativo di garantire all’esperienza la sua libertà e di offrile nel tempo stesso un piano di organizzazione; tentativo di trovare un principio di correlazione fondamentale che consentisse di lasciar valere l’esperienza estetica in tutte le sue varietà, complessività, universalità senza limitazione alcuna». (I problemi di una estetica filosofica, in “Bab Ilu”, I, n. 2, 1962, pp. 28-29).

7 E. Sanguineti, Sopra l’avanguardia, in “Il verri”, n. 11, 1963; ora in Gruppo 63. Critica e teoria, cit., p. 60.

8 Ivi, p. 62.

9 E. Sanguineti, La letteratura della crudeltà, in “Quindici”, I, n. 1, 1967; ora in Gruppo 63. Critica e teoria, cit., p. 354.

10 Ivi, pp. 354-355.

11 «Per cui la forma significa soltanto l’idea della funzione». (T. Lisa, op. cit., p. 41). Con altre parole, se si parla, ad esempio, di “bevanda”, il significante “bevanda” viene, attraverso un salto allegorico, connesso col significato “fresca, dissetante” secondo un procedimento di mediazione di tipo pubblicitario.

12 «Le poesie di Laborintus, prese nell’insieme, possono considerarsi una parafrasi poetica di quella che è stata denominata l’“odissea junghiana”: il processo di individuazione». (L. De Maria, Ricognizione sui testi, in Avanguardia e neo-avanguardia, Milano, Sugar, 1966, p. 141).

13 E. Risso, Anarchia e complicazione, in Id., Laborintus di Edoardo Sanguineti. Testo e commento, Lecce, Manni, 2006, p. 69.

14 Ivi, p. 166.

15 Ibidem.

16 E. Sanguineti, Laborintus, XII, in Id., Triperuno, Milano, Feltrinelli, 1964, pp. 26-27.

17 E. Risso, op. cit., p. 166.

18 «Solo tra i viventi l’uomo è duplice. Semplice è una delle parti che lo compongono, quella che i greci chiamano “essenziale” e noi “formata a simiglianza del divino”. Quadruplice è l’altra parte, quella che i greci chiamano “materiale” e noi “mondana”, di cui è fatto il corpo, che racchiude la parte dell’uomo che abbiamo detto divina». (F. Adorno, La filosofia antica, IV, Milano, Feltrinelli, 1992, p. 100).

19 L’esoterista ceco Franz Bardon afferma che il Quadruplice è «the fourfold key, the key of realization by the word». (F. Bardon, The Key to the True Kabbalah, Salt Lake City, Merkur Publishing, p. 112). Il Quadruplice, quindi, sarebbe la chiave della realizzazione attraverso la parola e conforterebbe questa possibile lettura del testo sanguinetiano.

20 E. Sanguineti, Laborintus, XIII, cit., p. 28.

21 E. Risso, op. cit., p. 184.

22 Lo stesso Sanguineti conferma tale tesi parlando anni più avanti di questa sezione di Laborintus: «Scrivevo quelle poesie che direi iperpetrarchesche, dove le immagini si accumulavano in maniera caotica e distorta, quasi con violenza, e il discorso esplodeva attraverso una comunicazione troppo piena, potrei dire: emblemi, figure, insegne d’ordine assoluto, venivano a disperdersi, qualcuno potrebbe dire in maniera parasurrealista o ipersurrealista». (C. Bologna, E. Sanguineti, Corrado Bologna a colloquio con Edoardo Sanguineti, in “Critica del testo”, VI, n. 1, 2003, p. 613).

23 Nella terminologia ermetico-alchemica l’argento vivo (iconograficamente rappresentato attraverso il simbolo della luna) è il mercurio, «principe des métaux». (A.-J., Pernety, Dictionnaire mytho-hermétique, Paris, Delalain, 1787, p. 294).

24 E. Sanguineti, Laborintus, XIV, cit., p. 29-30.

25 «Ma vedi il fango che ci sta alle spalle». (E. Sanguineti, Purgatorio de l’Inferno, XVII, in Id., Triperuno, cit., p. 88).

26 A. Pietropaoli, Unità e trinità di Edoardo Sanguineti, Napoli, Edizioni scientifiche italiane, 1991, p. 39.

27 Walter Siti rileva l’estraneità stilistica di questi tre testi rispetto agli altri del Purgatorio. Significativamente, essi sono ricollegati ad altri testi “anomali” presenti in Laborintus, in cui rientra la serie XII-XIV, anch’essa contenente un riferimento al “tu”. Il componimento XII contiene «una definizione («tu… sei la cimice delle botti») e una forma di dovere rivolta al futuro («io devo riassumere per le tue città»); il XIII contiene una definizione («tu sei l’anima delirante»; il XIV una forma di dovere («devo sostituirti»). Pare dunque che lo stile in questione si ricolleghi alla necessità di definire (di definirsi) di fronte al futuro, e che a far precipitare questa definizione sia la chiave sentimentale di un “tu”. […] Insomma, i figli rappresentano il momento in cui si definisce teoricamente la scrittura, e la si giustifica in base a generali presupposti teorici». (W. Siti, Purgatorio de l’Inferno, in Id., Il realismo dell’avanguardia, Torino, Einaudi, 1975, p. 91).

28 T. Lisa, op. cit., p. 256.

29 E. Sanguineti, Alphabetum, in I Novissimi, cit., pp. 132-133; ora in Id., Purgatorio de l’Inferno, I, cit., p. 69.

30 E. Sanguineti, Purgatorio de l’Inferno, IX, Ivi, p. 80.

31 E. Sanguineti, Purgatorio de l’Inferno, X, Ivi, p. 81.

32 T. Wlassics, Edoardo Sanguineti, in I contemporanei, VI, Milano, Marzorati, 1977, p. 1929.

33 A. Spatola, La letteratura “impiegata”, in “Il Mulino”, IX, n. 5, ottobre 1960, p. 384.

34 A. Spatola, Poesia a tutti i costi, in “Malebolge”, I, n. 1, 1964, p. 48.

35 Ibidem.

36 G. Celli, «L’ebreo negro» di Adriano Spatola, in “Malebolge”, III, n. 1, primavera-estate 1967, p. 55.

37 Ibidem.

38 A. Spatola, Una gita a Spoon River, in “Bab ilu”, I, n. 2, 1962, p. 36.

39 G. Guglielmi, Il foglio piegato di Spatola, in “Il verri”, (Omaggio a Spatola), XXXV, n. 4, dicembre 1991, p. 51.

40 A. Spatola, Il boomerang, 3, in Id., L’ebreo negro, cit., pp. 41-42.

41 P.L. Ferro, Adriano Spatola e la poesia come strategia di salvezza, in Adriano Spatola poeta totale: materiali critici e documenti, a cura di Id., Genova, Costa & Nolan, 1992, p. 60.

42 A. Spatola, Catalogopoema, 3, in Id., L’ebreo negro, cit., p. 15.

43 F. Curi, «Laborintus», in Id., La poesia italiana del Novecento, Bari, Laterza, 1999, pp. 265-266.

44 Ivi, p. 267.

45 «La comparazione avviene come ricerca di un’uguaglianza ed è dal contesto dell’accumulazione che si seleziona e si definisce un’identità, la quale non è totalmente in nessuno degli elementi messi in sequenza, e nemmeno dalla loro somma, ma piuttosto in un loro reciproco sottrarsi. Gli elementi si rivelano a vicenda qual è il tratto minimo che hanno in comune, si sottraggo l’un l’altro le eccedenze, e su quel tratto minimo in comune si fonda la tautologia, la quale non è mai rappresentazione della realtà, […] ma rimanda a qualcos’altro, a qualcosa che è destinato a rimanere occulto e che agisce da sotto il testo come forza coesiva, la forza che sostituisce la presenza dell’io lirico». (M. Graffi, L’oggetto totale nella poesia di Adriano Spatola, in “il verri”, (Omaggio a Spatola), cit., pp. 91-92).

46 Secondo i criteri enunciati da Tristan Tzara nella sezione VIII del suo Manifesto sull’amore debole e l’amore amaro, in Id., Manifesti del Dadaismo e lampisterie, Torino, Einaudi, 1964, p. 56.

47 Cfr. L. Fontanella, Gli esordi poetici di Adriano Spatola, in Adriano Spatola poeta totale, cit., p. 37.

48 F. Gambaro, Colloquio con Edoardo Sanguineti, Milano, Anabasi, 1993, p. 29.

49 Ivi, p. 27.

50 E. Sanguineti, Laborintus, II, cit., p. 12.