Tin Ujević

(Vrgoraz,1 Dalmazia, 1891 – Zagabria, 1955)

 

AI COMPAGNI   (Drugovima)

          Compagni! Dovevamo essere un esercito solo. Procedevamo sotto una sola bandiera, giuravamo ad un solo dio e ripetevamo una sola parola d’ordine.
          La nostra preghiera era una sola, il nostro cammino era comune, la vostra stella era la mia stella, tra noi non c’era differenza.
          Noi dovevamo essere un esercito solo. Ma i nostri cuori, oh compagni, erano divisi: voi cercavate utilità, ed io soltanto bellezza.

1914

(«Misao», Londra, 1919; OPERA
OMNIA, V, 1965)

AGNI2

Il mio corpo è un rogo acceso dalla mia anima. I miei giorni sono contati; le mie ore passeranno presto; la carne si disfa, i nervi si consumano, il fuoco dei miei pensieri muta in cenere.
            Io brucerò! Io spirerò giovane: una mattina di buon’ora, senza raggiungere il meriggio. Passerò come breve incendio, come lumino, bagliore di fulmine, volo di meteora. Ma sarò lieto di ardere, di avvampare come falò sui monti, come sole in mezzo al cielo:

            Brucerà lieto il mortale, se potrà risplendere.

1915

(idem)

VIAGGIO  (Putovanje)

Altri trascinano dietro di sé valige pesanti e bauli; ma i miei bagagli sono più leggeri d’una penna di pavone e d’un raggio di sole.
            Io non ho né oro né argento, né mobilio né stoviglie né biancheria nelle ceste di vimini o negli scrigni intagliati.
            Ma il mio Dolore, questa bolla di sapone, è così denso e pesante che non c’è bilancia su cui io possa soppesarlo. La mia Disperazione è così massiccia da poter sommergere la nave più solida; eppure bisogna ripartire.

(«Savremenik», 1919; VERGINI SAGGE
E FOLLI , 1957)

STORIA DELLE ANIME  (Povijest duša)

Come voi, uomini e donne, potete camminare per la strada, come potete fantasticare e parlare, se di tutto quanto non rimane nulla? Dove vanno le vostre convinzioni e i vostri matrimoni, le vostre nascite e le vostre agonie? Che cosa avviene insomma delle vostre vicende? Vengono registrate esse soltanto nei certificati di battesimo o negli atti di tribunale, oppure periscono d’una morte silenziosa nell’orecchio dei confessori servizievoli o dei medici addetti al «segreto d’ufficio»? – Dove deponete voi tutto il passato e tutto il presente del vostro cuore? – Li nascondete, almeno voi che siete più felici e più ricchi, nei tesori consumati dalle tarme, negli anelli e nei braccialetti d’oro, nelle perle, nelle pietre preziose, negli scrignetti di madreperla, nei ritratti e nelle statue costose?
            Dei beni mondani non ho nemmeno una borsa da tabacco; ho perso tutte le mie carte per strada
da Londra a Makarska;3 però mi pare di avere solo una risma di carta bianca, affinché, con un po’ di sangue e d’inchiostro nel calamaio, io scarabocchi tutta una storia della mia anima e dei miei presagi, la tragedia della Frana Precipitata. E vorrei essere, una volta, felice e tranquillo, per poter scuotere da me stesso almeno ciò, perché sarebbe forse (oh fecondità, gioia massima dello spirito umano!) il meglio di me. E quale storia tetra potrei esporre poi in questa città – a Spalato4 – dove verso la fine d’una guerra terribile non vidi ancora nessun ferito. Amerei allora il mio piccolo monumento sepolcrale – un tumulo sopra tante fantasticherie ed illusioni – più di quanto lo spirito più sontuoso ami la sua dama con un ramoscello d’olivo e con un somaro.
            Comprendo anche un mazzo di fiori in un bicchiere d’acqua e una corona comune sopra un crocifisso di legno.
(«Književni Jug», 1919; VERGINI SAGGE E FOLLI,
1957)

APPUNTO SULLA SOGLIA  (Zapis na pragu)

Non sono io in queste poesie, benché le abbia scritte.
Non sono io in questi lamenti, benché li abbia emessi.
La mia vita vera, l’ho respirata appena.

Poiché io vivo perfino se la poesia muore. Io vivo perfino se la pena scompare.
C’è in me una calma quiete, ma anche una mia vastità.
Io lascio anche altri esprimersi per me.
Ed io stesso esprimo altri stessi.

Né m’importa d’essere uomo, se sono riuscito divinamente a manifestare altri.
Oh io! oh io! io sono più piccolo e più grande di me.
Oh io! oh io! il mio io secondo e terzo.

Io non sogno la felicità. Ma della felicità non diffido.
Guarda questa mia diade e triade: c’è in me buio,
ma c’è anche serenità
e la mia stupenda armonia.

GIOCATTOLO DEI VENTI  (Igračka vjetrova)

Soffri senza lagrima, vivi senza bestemmia
e sii tranquillamente infelice.
Vane son le lagrime, né la nenia
col sogno amaro si lenisce.

Abbandònati all’ebbro vento della vita,
che ti trascini per ogni spiazzo;
che ti travolga come una fogliolina
nel pazzo impeto un turbine pazzo.

Vola come foglia che il vortice insegue,
sei anima che al volo s’addice;
non per la terra, non per la tregua
è un fiore privo di radice.

1914

(CAMPANA AFFLITTA, 1933)

 

SERRAGLIO INTERIORE  (Unutrašnji harem)

          Troppe donne meravigliose in giro nel vasto mondo,
troppe bellissime che per noi invano fioriscono.
           Quelle sposate, come rose colte per appassire presto,
per mantenere sul cespuglio e nella radice il loro posto.
           Le une così, come stelle che si specchiano nell’infinito mare,
le altre nel loro abbaglio di beltà simili a meteore.
           Le une così, come idoli dalla sabbia dei deserti,
le altre, invece, come chiese e genî dalle antiche regioni.
           Chi le ama? chi le coglie? a chi daranno il loro cuore?
Oh donna, ragazza e peccatrice, tu sei madre dell’uomo.
            Nelle mie fantasticherie sconsolato io ti guardo
mentre bevi, canti, fumi e danzi nei giardini.
            Non ho misura di fronte a quel fascino selvaggio
quasi il vino dell’inferno bollisse nel mio otre.
            Del corpo stesso perciò non sparlerò mai:
benedizione ad esso, alla mirabile opera divina!
            Il corpo è fonte di gioia, è modello di virtù,
è torcia luminosa in mezzo alle tenebre di quaggiù.
            Non esiste peccato che sfiori i miei sogni.
Se sono qui un visìr cruento, lo devo a Te. Ed anche a Lei.
            A quella che non c’è e che sempre manca,
perché gli ideali si tessono dal debito d’illusioni.
            Troppe bellissime respirano nel vasto mondo,
troppi profumi di donne e troppi i loro fiori.
            Ignoro che vivano, e come, e perché. E quando passino oltre,
oh quale sorte, e quale segno, sprofondi nella vana tenebra!

(«Vi i Mi», 1931; CAMPANA AFFLITTA, 1933)

MIO ESSERE IGNOTO  (Moje nepoznato biće)

Io mi domando spesso: chi sono io
questo straniero,
e temo.
Mi sento così buio,
estraneo
e cieco.

Nell’ombra dell’anima gioca una rete di colori.
Sono giunto da un bivio
o dalla tundra, dalle steppe?
Presagisco forse, quando il petto oscilla,
qualcosa di terribilmente bello;
ma non posso dire
chi sono, come e perché,
né da dove,
però mi meraviglio.

Come passerò sulla luna,
poi dalla luna al sole,
poi alle stelle più lontane?
Io sono quel ponte,
ma pure la notte più fonda
su di me,
mistero.

Posso conoscere teoremi,
però mai risolverò
i problemi di me stesso.
Dal mondo qualcosa mi scinde,
eppure, sono forza cieca,
strana e unica;
questo segreto punto interrogativo,
ma fonte delle delizie più profonde,
pudico di silenzio.

Io non scoppierò
come una bolla multicolore;
ma temo d’essere la freccia
che la corda scoccherà
per farla volare nello spazio.

Quel segno ardente.

Pregled», 1935; PIETRA ASSETTATA SUL POZZO,
1954
)


1 Orig. Vrgorac.torna su
2 Divinità mitologica dell’India (=«fiamma»), originariamente ha una funzione sacerdotale. Simboleggia la pratica del sacrificio e la verità segreta.torna su
3 In Dalmazia.torna su
4 Orig. Spljet (nome arcaico di Split).torna su